Data Literacy: leve culturali e organizzative

Nell’attuale contesto competitivo, il successo di una realtà aziendale è sempre più collegato alla capacità dei suoi dipendenti di accedere e utilizzare i dati per prendere decisioni più efficienti, in maniera decentralizzata e in completa autonomia. È necessario accrescere la capacità di dialogare con sistemi automatici, dati e algoritmi per estrarre il massimo valore dal patrimonio informativo aziendale, prendere le migliori decisioni e comunicare al meglio i risultati internamente ed esternamente. D’altra parte, spesso manager e decisori aziendali lamentano uno scarso utilizzo dei dati da parte dei propri dipendenti nello svolgimento delle loro mansioni lavorative quotidiane.

Con il termine Data Literacy ci riferiamo alla capacità di generare informazioni a partire dai dati e di supportare le proprie decisioni comunicando attraverso le evidenze empiriche emerse. La generazione di informazioni nel contesto di riferimento include la comprensione delle fonti dati, la conoscenza dei metodi di analisi e l’esperienza pratica delle principali tecnologie in uso.

Per studiare in maniera più approfondita il tema l’Osservatorio ha condotto nel 2022 una rilevazione a circa 1000 lavoratori non specializzati al fine di analizzare il livello di maturità in ambito Data Literacy dei dipendenti italiani. Dalla ricerca empirica emerge che ad oggi in Italia il46% dei lavoratori visualizza settimanalmente report di sintesi per il monitoraggio delle performance dell’azienda o di un determinato processo a supporto di decisioni (es.  fogli excel, report pdf statici, dashboard interattive), inoltre il 56% dei rispondenti afferma che l’esperienza umana rimane più affidabile di un modello statistico. Nel complesso, dunque, l’esigenza di utilizzare il patrimonio informativo a supporto delle decisioni viene percepita dai dipendenti aziendali ma vi è ancora reticenza nei confronti di un approccio maggiormente analitico nei processi aziendali.

Per sopperire a queste mancanze e promuovere la diffusione della Data Literacy, le organizzazioni possono agire su una serie di leve per accrescere l’alfabetizzazione al dato della propria forza lavoro. In particolare, oltre ad aspetti di tipo tecnologico, è possibile intervenire sulla dimensione organizzativa e culturale per facilitare lo svilupparsi e il diffondersi di conoscenza in ambito dati. Secondo la ricerca dell’Osservatorio sono tre i principali aspetti da considerare in questo ambito: la formazione, la struttura organizzativa e la presenza di figure “ponte”.

La formazione

Dalla ricerca empirica dell’Osservatorio emerge come l’ideazione di corsi di formazione sia una delle leve più efficace a disposizione dell’azienda per promuovere la diffusione dell’alfabetizzazione al dato tra la propria forza lavoro. Infatti, l’introduzione di tecnologie abilitanti rischia di essere infruttuosa se non viene accompagnata da un programma di formazione mirato agli utilizzatori finali di tali soluzioni.
Nello specifico la realizzazione di corsi di formazione per l’utilizzo di strumenti di Business Intelligence e Data Visualization sono quelli che più di tuti posso impattare la capacità dell’utente di business di accedere e manipolare il dato autonomamente. Dalla ricerca 2022 dell’Osservatorio è emerso però come solo il 23% degli end-user abbia partecipato in maniera efficace a corsi di formazione su utilizzo di strumenti di Business Intelligence, mentre il dato sale al 28% per quanto riguarda gli strumenti di governance, documentazione e qualità del dato.

Tali scelte sono frutto di una visione organica che mira a rendere pervasivo in azienda l’utilizzo del dato a supporto delle operatività aziendali, è dunque necessario che vi sia una presa di coscienza della problematica ad alti livelli aziendali, in questo senso una formazione di taglio manageriale, volta a chiarire le opportunità di utilizzo dei dati, risulta più efficace di corsi tecnici ed estremamente verticali, in quanto promuove un approccio data-driven di più ampio raggio e d’interesse per diverse funzioni aziendali e tipologie di background.

La struttura organizzativa

La struttura organizzativa e l’organigramma aziendale sono fattori che influenzano enormemente la capacità di un attore di conseguire a pieno una strategia orientata all’utilizzo dei dati in maniera pervasiva in azienda. La formalizzazione di determinate figure professionali e team comporta la definizione di ruoli e di relazioni tra i lavoratori e i team di Data Science.

I principali assetti organizzativi relativi alle figure di Data Science in azienda sono tre e differiscono per il loro livello flessibilità e governance:

  • Modello Centralizzato: in una struttura organizzativa di questo tipo è presente un dipartimento centrale di gestione del dato che coordina e gestisce tutte le progettualità per le diverse funzioni aziendali, definendo la strategia dei dati aziendale. Un organigramma di questo tipo facilità la generazione di curve di apprendimento e sinergie, omogenizzando gli strumenti tecnologici utilizzati, spesso però in situazioni di questo tipo si può accentuare la dipendenza delle diverse linee di business nei confronti del reparto IT, generando addirittura situazioni dui concorrenza nell’accedere a tali risorse aziendali.
  • Modello Decentralizzato: in un organigramma di questo tipo i lavoratori “specializzati” sono calati nelle rispettive funzioni di Business e lavorano esclusivamente per le necessità della propria divisione facilitando il dialogo. In un contesto del genere vi è un forte allineamento del team IT con il business, ciò garantisce inoltre alti livelli di personalizzazione delle soluzioni implementate sulle specifiche esigenze della linea di business e una più pervasiva conoscenza degli applicativi in azienda che si traduce in una maggiore autonomia delle unità di business nell’accedere e manipolare il dato in azienda.
  • Modello Ibrido: il modello organizzativo ibrido vuole sintetizzare i benefici del modello centralizzato con quelli del modello decentralizzato prendendo da entrambi i punti di forza. Questa struttura si caratterizza per la presenza di team inseriti nelle singole funzioni aziendali ma coordinati da un team centrale che ha lo scopo di coordinare la Data Strategy aziendale, omologando i processi e gli strumenti. Strutture di questo tipo sono molto complesse e adottabili solitamente da organizzazioni di determinata grandezza, ad ogni modo, se definiti bene i ruoli e gli obbiettivi, tale organigramma garantisce un’alta indipendenza delle linee di business e una elevata condivisione di conoscenze e capacità sulla manipolazione del patrimonio informativo.

Le figure ponte

La forte dicotomia tra il business e il team di Data Science spesso può generare inefficienze e rallentamenti alla pipeline di sviluppo; queste situazioni di disallineamento impediscono di raggiugere pienamente il valore generato dal patrimonio informativo aziendale ed è dunque necessario l’inserimento di figure “ponte” con lo scopo di facilitare la relazione tra questi due mondi spesso lontani fra loro.
Negli ultimi anni si è registrato un aumento di nuove figure professionali che andassero a ricoprire tale ruolo, spesso nominate “Analytics Translator”. Il ruolo di queste nuove figure professionali è quello di facilitare il raggiungimento di benefici nei progetti di analytics, mediando tra il Business e il Team di Data Science.

Solitamente, in maniera del tutto informale, i primi Analytics Translator in azienda sono i data scientist più senior, che per il loro percorso in azienda hanno sviluppato, oltre alle loro conoscenze tecniche, una profonda conoscenza del dominio del business. Infatti, figure professionali di questo tipo si caratterizzano per un background di conoscenze bivalente che ricopre sia competenze tecniche legate al mondo data science che conoscenze specifiche del business, tale per cui il dipendente in tale ruolo riesca a svolgere una funzione di raccordo

L’introduzione di una figura ponte in azienda può riscontrare, ad ogni modo, determinate criticità. La principale problematica che le organizzazioni percepiscono oggi è quella di reperire figure professionali che abbiano il giusto insieme di competenze; è molto difficile trovare tali figure esternamente poiché è necessaria una profonda conoscenza del business ed è spesso quindi preferibile l’up-skilling di personale interno. Inoltre, l’inserimento di una nuova figura può rallentare i processi aziendali se non vengono definite chiaramente attività e obbiettivi e incentivare atteggiamenti negligenti da parte del business, che può percepire una deresponsabilizzazione del proprio ruolo.
Sicuramente nei prossimi anni assisteremo a un’ascesa di nuove figure professionali di questo tipo accompagnata da una crescente attenzione alle competenze di accesso e manipolazione del dato dei propri dipendenti in quanto elemento abilitante di un nuovo vantaggio competitivo.
È probabile, infatti, che il livello di alfabetizzazione al dato dei propri dipendenti sia sempre più correlato a livelli di efficienza e performance aziendali, investire dunque in attività e percorsi di accrescimento di tali competenze è una strategia che molte aziende stanno intraprendendo.

A cura di

Arturo Ciotti

Arturo Ciotti

Big Data & Business Analytics, Data Center

Analista dell'Osservatorio Big Data & Business Analytics e dell’Osservatorio Data Center

Siamo a tua disposizione per informazioni e assistenza

Martina Vertemati

Martina Vertemati

Acquisti e abbonamenti Da Lunedì al Venerdì, dalle 09 alle 18
Alessia Barone

Alessia Barone

Assistenza Da Lunedì al Venerdì, dalle 09 alle 18
Data Literacy: leve culturali e organizzative

Le migliori Aziende italiane si aggiornano su Osservatori.net