Ma ancora non si vedono appieno i frutti degli investimenti fatti

 

  • Dal PNRR 48 miliardi di euro per la digitalizzazione dell’Italia, il 30% di tutte le risorse per il digitale nel Next Generation EU
  • Siamo tra i Paesi più avanti sul digitale nel PNRR: già raggiunti 69 milestone e target su 172. Ma restiamo 19esimi su 27 Paesi europei per maturità digitale
  • Nell’Agenda Digitale italiana è il momento di passare “dalla semina al raccolto”

 

L’Agenda Digitale è ormai al centro delle politiche e il PNRR punta a realizzare un nuovo modello di sviluppo ed erogazione dei servizi pubblici digitali (“Government as a Platform”) in cui la PA è il motore per l’innovazione tecnologica dell’intero Paese. L’Italia ha ricevuto 48 miliardi di euro per la sua digitalizzazione, una mole di risorse mai vista prima, pari a un terzo di quanto previsto per la trasformazione digitale di tutti i Paesi europei nel Next Generation EU. E sul fronte del digitale è tra i Paesi più avanti in Europa per attuazione, con 69 tra milestone e target già raggiunti su 172 previsti nel nostro PNRR. Ma i frutti ancora non si vedono appieno: nonostante gli sforzi per costruire basi di dati condivise, piattaforme integrate, interfacce digitali e nuove infrastrutture scalabili e sicure, l’Italia resta al 19esimo posto su 27 Paesi europei negli indicatori della Digital Decade 2030 e restano forti i divari tra le Regioni. Nell’Agenda Digitale italiana, è arrivato il momento di passare “dalla semina al raccolto”.

È quanto emerge dalla ricerca dell’Osservatorio Agenda del Politecnico di Milano*, presentata oggi al convegno Italia digitale: dalla semina al raccolto”. Uno degli oltre 50 Osservatori Digital Innovation della POLIMI School of Management (www.osservatori.net) che affrontano tutti i temi chiave dell’innovazione digitale nelle imprese e nella Pubblica Amministrazione.

È il momento di preoccuparsi di come capitalizzare gli sforzi messi in campo negli scorsi anni e rendere effettiva la trasformazione digitale della PA italiana – afferma Mariano Corso, Responsabile Scientifico dell’Osservatorio Agenda Digitale –. Affinché i semi maturino in frutti, l’Italia deve spendere bene le risorse del PNRR, armonizzandole con i fondi strutturali, sfruttare il potenziale acceleratore dell’Intelligenza Artificiale e investire nello sviluppo delle competenze dei dipendenti pubblici, non solo in ambito digitale. Ma, soprattutto, deve rinnovare i processi di lavoro della PA, favorendo una collaborazione efficace al suo interno e con i fornitori di soluzioni digitali. Mentre lavoriamo per realizzare quanto promesso alla Commissione Europea, è tempo di pensare a come garantire un futuro sostenibile alla trasformazione digitale. Senza azioni mirate, il grande potenziale del PNRR rischia di non generare l’impatto duraturo di cui il Paese ha bisogno”.

 

Il PNRR per il digitale

Dei 194 miliardi complessivamente disponibili e da spendere entro giugno 2026, il PNRR italiano dedica al digitale un’intera missione da 40 miliardi di euro, a cui si sommano le iniziative di digitalizzazione nelle altre 6, per un totale di 48 miliardi. Fondi straordinari: da sola l’Italia ha previsto di spendere il 30% di tutte le risorse europee per la trasformazione digitale del Next Generation EU, molto più di altri Paesi (18 hanno previsto 3 miliardi di euro; la Germania 15,5 e la Francia 8,7); solo la Spagna, modificando il proprio PNRR grazie al programma RePowerEU, ha alzato le risorse avvicinandosi a 42 miliardi di euro.

Il nostro Paese ha finora gestito bene tali risorse. Con 69 milestone e target già realizzati su 172 al 15 novembre 2024, l’Italia è tra i Paesi più avanti in Europa nella realizzazione della trasformazione digitale prevista nel PNRR. Abbiamo completato il 40% delle milestone e dei target concordati con la Commissione Europea. Solo Francia (67%) e Danimarca (47%) fanno meglio di noi, ma su molti meno milestone e target (55 per la Francia e 19 per la Danimarca).

Nell’attuazione, la PA riveste un ruolo di primo piano: almeno il 60% delle risorse (il 33% di quelle della missione 1 dedicata al digitale) sono destinate a PA centrali, locali o imprese pubbliche; tutte sono gestite e rendicontate da PA e, mediamente, il 45% delle risorse dei vari PNRR europei per la trasformazione digitale è dedicato a iniziative di eGovernment.

 

I risultati del Government as a Platform

Da diversi anni l’Italia sta cercando di adottare un modello “Government as a Platform” per lo sviluppo e l’erogazione di servizi pubblici digitali, che prevede 4 pilastri: dataset e componenti condivisi, piattaforme per accentrare l’offerta di servizi pubblici, modelli di interoperabilità applicativa per lo scambio automatico di dati e infrastrutture sicure e scalabili basate su soluzioni cloud.

Tra le basi di dati condivise, l’ANPR si è affermata come soluzione consolidata, con tutti i Comuni italiani aderenti e la possibilità per i cittadini di scaricare autonomamente 15 certificati anagrafici e 2 elettorali. Il Fascicolo Sanitario Elettronico è attivo in tutte le Regioni, anche se non ancora completamente operativo e interoperabile: a oggi 21 milioni di italiani hanno almeno un documento pubblicato nel loro FSE, ma solo il 40% degli assistiti ha espresso consenso alla consultazione dei documenti da medici ed operatori del SSN. Il portale dati.gov.it che importa automaticamente i dataset in formato aperto esposti dalle PA aderenti (oltre 1.300) si è affermato come eccellenza a livello europeo, con 63.000 open data.

Tra le piattaforme, pagoPA vede oltre 16.000 PA aderenti, superando in anticipo il target PNRR (14.100 entro fine giugno 2026), 400 prestatori di servizi di pagamento per 420 milioni di pagamenti digitali realizzati, transando oltre 300 miliardi di euro. L’App IO è stata scaricata da oltre 42 milioni di italiani e 15mila PA offrono più di 335mila servizi, prevalentemente di notifica e gestione pagamenti. SPID è nelle mani di 39 milioni di italiani e usato oltre un miliardo di volte l’anno. Le CIE sono oltre 49 milioni e 6 milioni di italiani hanno usato CieID. Gli obiettivi PNRR sull’identità digitale sono già stati raggiunti e il Governo ha rilasciato una prima versione dell’IT Wallet. A SEND (che permette l’invio di notifiche con valore legale in modo digitale) hanno aderito 4.000 PA e il target di oltre 6.400 entro giugno 2026 è raggiungibile. 11 milioni di notifiche sono già state gestite dalla piattaforma, di cui quasi 2 milioni inviate esclusivamente in digitale.

Nell’interoperabilità, la Piattaforma Digitale Nazionale Dati (che abilita lo scambio automatico di dati tra PA) ha accolto 7.600 enti che espongono più di 10mila eService scambiati oltre 380 milioni di volte.

Nelle infrastrutture, oltre 100 tra PA centrali, ASL e Aziende Ospedaliere hanno migrato dati e applicativi al Polo Strategico Nazionale, che ospiterà dati e servizi critici e strategici. Il target di 280 enti entro giugno 2026 è alla portata, considerando oltre 500 piani di migrazione già avviati. Procede speditamente anche la migrazione al cloud di Comuni, Scuole e ASL/AO “guidata” dal Dipartimento di Trasformazione Digitale: oltre 20.000 enti hanno presentato piani di migrazione e oltre 4.000 li hanno già terminati a settembre 2024. Il target di 12.464 enti migrati entro giugno 2026 è anche in questo caso alla nostra portata.

 

I frutti raccolti finora

Nonostante questi sforzi, l’Italia continua apparentemente ad attestarsi nella parte bassa del ranking dei Paesi più digitalizzati: negli ultimi indicatori della Digital Decade 2030 (il quadro strategico che guiderà le azioni della Commissione Europea) siamo 19esimi su 27 Paesi europei, perdendo 3 posizioni rispetto all’anno precedente. Ma tutti gli indicatori di Digital Decade si basano su dati raccolti a fine 2023, più utili ad analizzare il passato che a valutare l’efficacia delle iniziative in corso. Inoltre, gli indicatori della Digital Decade soffrono di diversi limiti: completezza, rappresentatività, impossibilità di raggiungere alcuni dei target fissati, assenza di target specifici in alcuni casi e scarso orientamento al policy making.

Forse sarebbe opportuno, ora che siamo quasi alla metà della decade digitale, rivedere gli indicatori su cui misurare i progressi fatti dai vari Paesi sul fronte della trasformazione digitale, in modo che riflettano gli sforzi profusi e i risultati effettivamente raggiunti – dice Giuliano Noci, Responsabile Scientifico dell’Osservatorio Agenda Digitale –. D’altro canto, è ambizioso pensare di realizzare trasformazioni digitali in tempi brevi”. Per un quadro più preciso, l’Osservatorio ha calcolato un indice di digitalizzazione di Regioni e Province Autonome italiane, da cui emergono il forte divario interno di digitalizzazione tra le Regioni del Centro-Nord e quelle del Mezzogiorno, e in generale ampie differenze sugli indicatori, difficili da colmare per l’assenza di adeguate agende digitali regionali: Regioni e Province Autonome hanno spesso documenti eterogenei e marcatamente mancanti di una prospettiva istituzionale “interregionale”.

 

La maturità digitale dei Comuni

I Comuni italiani oggi dispongono di software a supporto di quasi tutti i processi chiave di back-office, ma sono ancora fortemente immaturi nei processi di gestione e valorizzazione dei dati e nella governance della trasformazione digitale. In generale, presentano forti differenze di maturità digitale a livello geografico (i Comuni del Sud e delle Isole sono meno maturi di quelli di Centro e Nord), come a livello dimensionale (quelli con meno di 2.500 abitanti sono meno maturi di quelli con oltre 15.000). È quanto emerge dall’applicazione del modello di maturità digitale dei processi dei Comuni sviluppato dall’Osservatorio a un campione di circa 300 comuni del Paese, basato su 83 indicatori di maturità digitale dei processi.

“Per sfruttare appieno il potenziale trasformativo del modello Government as a Platform i Comuni, come ogni altra PA, devono ripensare in modo digitale e interoperabile tutti i processi con cui gestiscono ed erogano servizi pubblici: dalla gestione documentale ai servizi di assistenza alla clientela, dalla gestione dei fornitori all’interazione con altri enti – afferma Michele Benedetti, Direttore dell’Osservatorio Agenda Digitale –. Una PA può identificare i propri utenti tramite SPID/CIE, farsi pagare tramite PagoPA, inviare notifiche a valore legale tramite SEND o promemoria tramite l’App IO, ma se continua a operare con processi analogici non vedrà significativi miglioramenti. La re-ingegnerizzazione richiede di mappare i processi, analizzare specificità e opportunità di trasformazione digitale, identificare indicatori per il monitoraggio delle prestazioni e costruire cataloghi per il riuso di buone pratiche e di servizi digitalizzati”.

 

Il mercato delle soluzioni digitali della PA

Il mercato dei fornitori di soluzioni digitali alla PA evidenzia da sempre alcuni problemi. Se gran parte delle risorse del PNRR è destinata alla PA, questa acquista da aziende private sostanzialmente tutte le soluzioni digitali per un valore di ben 14,4 miliardi di euro nel 2024. Ma l’81% della spesa pubblica in servizi digitali del 2024 è concentrata nelle mani di 50 fornitori e il 45% dei primi 5. Sono necessari mediamente 4 mesi per assegnare una gara pubblica di soluzioni digitali, troppo spesso disegnata soprattutto con la preoccupazione di prevenire ricorsi e contenziosi.

Bisogna ripensare i meccanismi di progettazione e risposta delle gare pubbliche – dichiara Luca Gastaldi, Direttore dell’Osservatorio Agenda Digitale –: la concentrazione della spesa su pochi fornitori non deve penalizzare la qualità delle soluzioni digitali comprate dagli enti pubblici, che dovrebbero puntare all’acquisto di progetti innovativi, evitando modelli che vedano i privati sostituirsi integralmente alle PA nell’esercizio delle loro funzioni. Inoltre, bisogna completare la riforma del Codice dei contratti pubblici, accelerando la loro digitalizzazione: se rendessimo più efficaci ed efficienti i processi di procurement pubblico potremmo fare vere riforme strutturali, con impatti dirompenti sull’economia dell’intero Paese”.

La PA italiana negli ultimi 3 anni, infatti, ha comprato lavori, servizi e forniture per oltre 280 miliardi di euro l’anno, un valore molto superiore alle risorse disponibili PNRR. Il nuovo Codice dei contratti pubblici, in vigore da aprile 2023, prevede di accelerarne la digitalizzazione tramite piattaforme digitali. “Da questo punto di vista – prosegue Gastaldi -, è opportuno fornire priorità e indicazioni chiare sulle fasi del processo di approvvigionamento da digitalizzare progressivamente”.

 

L’Intelligenza Artificiale nella PA

Sono oltre 1.250 i progetti di Intelligenza Artificiale in ambito pubblico censiti a livello internazionale dall’Osservatorio nel 2024. Ma degli oltre 130 avviati nel 2024, 41 sono solo semplici annunci a cui non è ancora seguita una vera e propria applicazione e 44 sono in fase di Proof of Concept con l’obiettivo di testarne la fattibilità e dimostrare l’adeguatezza. Solo 52 sono pienamente operativi, con benefici per dipendenti pubblici, cittadini o imprese.

“Per una piena operatività del modello Government as a Platform le PA devono investire maggiormente in soluzioni di Intelligenza Artificiale, che ha il potenziale per modernizzare l’intero settore pubblico, migliorando l’efficienza e l’efficacia e contribuendo alla re-ingegnerizzazione dei processi – afferma Giuliano Noci –. L’IA, infatti, può automatizzare attività ripetitive, migliorare i servizi, efficientare la gestione delle risorse, supportare le decisioni, migliorare la trasparenza, aiutare la gestione dei rischi e potenziare l’inclusione digitale. Ma per produrre risultati concreti nell’utilizzo di questa tecnologia servono risorse, competenze e consapevolezza di dove applicarla con successo. La PA deve adottare una sperimentazione pragmatica dell’IA, evitando di disperdere energia in soluzioni troppo di frontiera, ponendo attenzione agli aspetti etici, alla compliance, alla governance, alla formazione e allo sviluppo di competenze, nonché alla gestione dei dati e della sicurezza”.

 

*L’edizione 2024 dell’Osservatorio Agenda Digitale della POLIMI School of Management è stata realizzata con il supporto di AgendaDigitale.eu, Agenzia per l’Italia Digitale (AgID), Baker & McKenzie, Cefriel, Consorzio.IT, FPA, iProc, OpenCoesione, P4I, Repubblica Digitale, SemplicePA, Studio Legale Leone e Unguess; in partnership con AlmavivA, Google Cloud, NTT Data, PAAdvice, Poste Italiane, TeamSystem e Tim; con la sponsorship di BancoBPM, Gruppo Maggioli, Nexi, Retelit e SAP; con il supporto di Anthesi, ContrattiPubblici.org, EasyGov, Pandora Consulting e Telemat; con il patrocinio di AGCOM, Agenzai delle Entrate, ANAC, ANORC, ARAN, Assintel, AssinterItalia, AssoConsult, AssoSoftware, Formez, INAPP, INPS, ISTAT, Ministero delle Imprese e del Made in Italy (MIMIT), Ministero dell’Universitò e della Ricerca (MUR), Regione Abruzzo, Regione Autonoma della Sardegna, Regione Autonoma Valle d’Aosta, Regione Basilicata, Regione Calabria, Regione del Veneto, Regione Emilia-Romagna, Regione Lazio, Regione Liguria, Regione Lombardia, Regione Marche, Regione Molise, Regione Piemonte, Regione Puglia, Regione Toscana e Sogei.

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Barbara Balabio

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