L’importanza del benessere tra Great Resignation e Quiet Quitting
A cura di:
Martina Mauri – Direttrice dell’Osservatorio HR Innovation Practice
Cosa sta succedendo nel mondo del lavoro post-pandemico? In questi due anni le aspettative dei lavoratori sono mutate profondamente, da una parte è emersa la volontà di dare un nuovo significato al lavoro sentendo di poter incidere e fare la differenza all’interno del proprio contesto lavorativo. Dall’altra però è aumentato anche il malessere psico-fisico delle persone legato alle restrizioni sociali vissute negli scorsi mesi e al crescere dell’ansia e dell’incertezza verso il futuro. D’altronde gli effetti del Covid-19 erano già stati predetti durante i mesi più bui, in cui si parlava di tre ondate di emergenza, la prima sanitaria, la seconda legata al recupero della salute fisica delle persone e la terza, più lunga, caratterizzata dalla ricerca di un nuovo equilibrio dal punto di vista psicologico. La rilevanza di quest’ultimo aspetto è testimoniata anche dai dati dell’OMS: i disturbi di ansia e depressione sono aumentati arrivando a colpire il 25% della popolazione. E i Governi iniziano a correre ai ripari: il 90% dei Paesi intervistati hanno incluso la salute psicologica nei piani strategici (ad esempio in Italia è stato approvato il “Bonus Psicologo”).
L’importanza di questo tema fa sì che non possa essere trascurato nemmeno all’interno dei confini organizzativi. Ma quanto è prioritario il tema del benessere dei lavoratori per le organizzazioni? I dati ci dicono che tra le aziende c’è un senso di priorità rispetto al tema dell’engagement delle persone al lavoro, che rappresenta l’ambito principale su cui agire nel 2022. Il benessere, invece, non è oggi una delle principali sfide a cui far fronte: solo un’organizzazione su cinque lo indica come una priorità. Questo è un forte segnale di mancata consapevolezza: da un’indagine sui lavoratori risulta che solo 9% di loro sta bene su tutte e tre le dimensioni del benessere (fisico, psicologico e sociale). La variabile più critica è il benessere psicologico e i maggiori fattori di stress identificati sono il carico di lavoro, la conciliazione vita-lavoro e le relazioni conflittuali con i colleghi o responsabili.
Qual è la conseguenza di questo stato di malessere diffuso? I dati della Ricerca dell’Osservatorio HR Innovation Practice in collaborazione con Doxa mostrano che la propensione dei lavoratori italiani a lasciare la propria organizzazione arriva al 45%, evidenziando la crisi attuale delle aziende in termini di attraction e retention (nota anche come “Great Resignation”). Tra le motivazioni che spingono all’abbandono, oltre alla ricerca di condizioni lavorative migliori, sia economiche, sia legate al desiderio di crescita e carriera, un peso importante lo hanno proprio i fattori legati alla salute fisica e mentale.
Ma non è finita qui. In relazione al benessere dei lavoratori c’è un altro trend di cui si sta molto parlando in questo periodo: il “Quiet Quitting”. È un fenomeno che indica la propensione delle persone a fare il minimo indispensabile al lavoro. Spesso si verifica quando i collaboratori, esauriti dai propri impegnati lavorativi e preoccupati per la loro salute mentale, decidono di ridimensionare gli sforzi e le energie da investire nelle attività lavorative. Il risultato? Un lieve cambiamento nel loro atteggiamento o, all’estremo, un completo distacco mentale dalle attività lavorative: arrivare al lavoro in perfetto orario, fare quel tanto che basta per non essere licenziati e limitarsi ad aspettare la fine dell’orario di lavoro. Gli effetti sul lungo periodo possono essere drastici: fatica a dare un senso al proprio lavoro e profondo disingaggio. Inoltre, una delle difficoltà principali che molte persone vivono in questo periodo è trovare la giusta integrazione tra vita lavorativa e vita privata. Complice la diffusione del lavoro da remoto, spesso non supportato da un adeguato percorso di accompagnamento, i lavoratori sono portati all’essere sempre raggiungibili grazie alla tecnologia e ad avere la sensazione di “non staccare mai”. Il “Quite Quitting” è anche una risposta al sentire “invasa” la propria sfera privata e, di conseguenza, voler delineare una linea di confine ben visibile tra lavoro e privato.
La principale sfida delle organizzazioni nei prossimi mesi sarà quella di diventare abili nel cogliere questi segnali di malessere e saper offrire alle persone adeguati strumenti di supporto. Il primo passo è la costruzione di un ambiente aperto, in cui sia possibile parlare liberamente anche di queste tematiche, basato sul rispetto dei tempi di lavoro e di risposo. Il lavoro “ibrido” porta con sé la necessità di responsabilizzare ed educare le persone alla gestione del tempo, trovando il proprio equilibrio nella gestione della vita privata e vita lavorativa. Solo con queste basi le azioni intraprese dalle organizzazioni a supporto del benessere dei propri collaboratori potranno avere davvero successo.
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